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Speciale Merlo

Gare e calendari
 


 

6 Maggio 2015


La travolgente passione di un bambino
Intervista ad Alessandro Merlo

 
 
 
 

Il traffico di Genova è un inferno per chi non è abituato al caos cittadino di questa città che dal mare si arrampica sui ripidi pendii che la circondano.

Da circa due ore vi siamo immersi, quando parcheggiamo lungo una strada in cui, senza tregua, passano camion, auto, scooter e moto.

Lasciatoci alle spalle l’inferno cittadino, entriamo in uno stabile che per anni è stato un centro industriale e commerciale, prima di essere riconvertito.

Lungo un corridoio poco illuminato e dal pavimento scuro, il nostro accompagnatore si muove con sicurezza arrivando davanti ad un porta.

Pochi semplici gesti ed ecco che dietro quelle anonime ante ci si trova proiettati in un locale soppalcato che rispecchia una caratteristica di Genova e degli abitanti del capoluogo ligure, quella cioè di sfruttare al massimo gli spazi.

 
 

Davanti a noi una collezione incredibile di moto, poster, striscioni, caschi, stivali, pettorali, maglie gara, guanti e molto altro.

In poco più di due minuti abbiamo lasciato alle spalle il caos cittadino per ritrovarci in un irreale silenzio.

Il nostro accompagnatore è Alessandro Merlo, un appassionato motociclista prima che fondatore di Blackbird, che rimase folgorato dalle moto a tre anni.

 
 

Per qualche istante rimaniamo senza parole mentre alterniamo lo sguardo tra le moto presenti ed i suoi occhi che brillano emozionati come quelli di un bambino.

Ma chi è Alessandro Merlo?

Alessandro Merlo, nonostante venga da una famiglia dove non è radicata la passione per le due ruote, fin da piccolo fece capire ai suoi genitori che le moto lo avevano contagiato, tanto che lo  assecondarono regalandogli dei libri prima e portandolo qualche anno dopo a Bavari (a due passi da Genova) ad assistere alla sua prima gara di motocross.

Fu così che il giorno seguente, con la fantasia e l’inventiva che solo un bambino possiede, iniziò a replicare il logo del Motoclub Zena con un cartoncino e a costruirsi una mentoniera simile a quella indossata dai piloti, utilizzando una rete di plastica e due elastici delle mutande che, iniziò ad utilizzare mentre girava in bicicletta lungo le strade di Pegli in sella alla Sedazzari Ideor, due ruote che riproponeva nelle forme (grazie alla sella lunga, le forcelle anteriori e i due ammortizzatori posteriori) le moto da cross.

 
 

La travolgente passione lo portò a dedicare temi al motocross arrivando a personalizzare l’astuccio di scuola con le fotografie dei campioni di quel momento.

Questi primi vagiti di un amore per le due ruote iniziarono a rivelare la filosofia della vita di Alessandro dove tutto avrebbe fatto leva sulle moto, dalle storie sentimentali, agli studi, per arrivare poi alla creazione di Blackbird.

Gli anni passarono e arrivò il giorno in cui, con i soldi guadagnati lavorando nel periodo estivo, riuscì ad acquistare la prima moto, un Ancillotti 50 che spinse fino a casa dato che mancavano ancora due giorni al suo compleanno.

Un'amara sorpresa però caratterizzò quell’acquisto: la moto non partiva.

Così con poche chiavi acquistate insieme a quelle dei pattini Gipron che aveva a casa, forte dell’esperienza teorica acquisita studiando una brochure dell’Enciclopedia delle Due Ruote, riuscì a dare vita all’Ancillotti e con il suo cinquantino iniziò a scoprire le alture di Genova, in compagnia di amici o in solitaria.

La regolarità (oggi enduro) lo affascinò e nel 1982 a Cimaferle, in provincia di Alessandria, con un Ktm 125 partecipò alla prima gara.

 
 

Dopo questo breve proemio è Alessandro Merlo a raccontarsi seduto a fianco di una Ossa Mick Andrews Replica da trial.

“Una volta che si è trattato di passare dalla fase di ragazzo ad adulto volevo  trovare un lavoro e riuscire ad andare a vivere da solo.

Così parallelamente all’università, dove frequentavo economia e commercio, iniziai a lavorare in un negozio di moto a Genova, qui feci le prime esperienze inerenti la gestione commerciale con i clienti e imparai a trattare con i rappresentanti.

Terminato il ciclo di studi mi ritrovai in un momento in cui il mercato del lavoro a Genova non offriva molto, le grandi strutture quali Ansaldo e l’Italsider erano già in una fase di declino.

Così visto che non riuscivo a trovare occupazione pensai di inserire nel mio curriculum vitae quelle che erano le mia attitudini motociclistiche, in primis la passione per la moto, l’aver seguito diverse edizioni della Sei Giorni di Enduro (la prima a quindici anni con un amico all’Isola d’Elba) e così fui contattato da diverse aziende che operavano nel settore."

 
 

"Era il 1995 ed andai a lavorare a Concesio (Bs) alla Cemoto.

Qui iniziai a fare esperienza sulla gestione di un prodotto, a gestire i contatti con la reti commerciali italiane e con gli importatori, preparare e partecipare ad una fiera, realizzare un catalogo.

In Cemoto conobbi diversi personaggi famosi delle due ruote quali Corrado Maddii, che vinse con Alex Puzar il titolo iridato 125 in quell’anno, e strinsi un'amicizia che dura ancora oggi con Fabio Lenzi (in foto con la Gas Gas), allora poco più che maggiorenne.

Questo incontro mi riportò ad interessarmi al trial che da piccolo avevo visto a Bardonecchia a Campo Smith e seguito attraverso libri come Castrol Book of the Scottish Six Days Trial (di Tommy Sandham ndr) con Gilles Burgat e la SWM impegnati sulla Pipeline, mitica sezione della gara Scozzese."

nella seconda foto è con Sammy Miller

 
 

"Dopo qualche tempo in Cemoto mi resi conto che le cose non andavano esattamente come pensavo e un giorno scrissi su un foglio Blackbird.

Il momento in cui comunicai a Cinelli che avrei intrapreso un mio progetto me lo ricordo bene, diventò tutto rosso e pensai in quell'istante “Questo mi ammazza”; invece fu proprio lui a credere in me commissionandomi i primi lavori.

Iniziai con gli adesivi e le selle perché era un percorso che potevo intraprendere con un investimento iniziale non molto elevato; per questo utilizzai quel piccolo tesoretto di 24 milioni di lire che avevo costruito lavorando durante e dopo gli studi, trovai un piccolo locale a Sestri Ponente e iniziò l'avventura di Blackbird.

Per anni rinunciai alla moto, mi alzai alle cinque e mezza e fino alle otto di sera al lavoro.

Mi sposai e diventai padre di una ragazza oggi tredicenne e un maschio di 11."

 
 

"Ma la passione non passa e, come riuscii, acquistai questo locale dove ho potuto sistemare tutto quello che ho raccolto per anni, lavorando personalmente per ristrutturarlo ed allestirlo.”

E' in questo momento che Alessandro Merlo si emoziona descrivendo alcuni pezzi da novanta del museo.

“Ogni più piccolo particolare che si trova in questo luogo ha una storia incredibile ed avventurosa, ci vorrebbero dei giorni per raccontare tutto.
Principalmente ho collezionato i mezzi ed i cimeli di due miti che oggi sono anche amici, Giorgio Grasso e Alessandro Gritti.

Giorgio un giorno mi ha invitato a casa sua e mi ha consegnato moltissima roba: caschi, abbigliamento, la divisa della nazionale, borsoni.”

 
 

“La collezione vanta pezzi particolari come la Kawasaki 250 con cui Grasso si laureò campione del mondo, moltissime KTM, Fantic Motor, Vertemati, Vor, Mz, Ossa, Bultaco, Yamaha, Husqvarna solo per citarne alcune ed infine le Jawa, compresa quella acquistata nel 1991 a Povazska Bystrica nell'ex Cecoslovacchia, in occasione dell'ISDE che venne smontata per portarla in Italia."

Un mezzo a cui Merlo tiene particolarmente, tanto da averla tenuta in casa per almeno vent'anni.

“Dopo il museo il passo successivo avvenne nel 2011: decisi di rimettermi in forma e ritornare in moto per arrivare a partecipare alla sei giorni di enduro.

Nel 2012 mi iscrissi ma, quattro giorni prima di partire per la Germania dove era in programma a Zschopau (ex Germania dell'Est e città natale delle moto MZ Motorenwerke Zschopau) la six days, al Sassello sono caduto fratturandomi malamente un polso, così il mio progetto slittò all'edizione successiva in programma in Sardegna dove corsi con una KTM 250."

 
 

Ed ecco che inizia l'ultimo amore in ordine di tempo di Merlo.

“Dopo quell'esperienza ho deciso di provare il trial, perchè era una specialità che mi era sempre piaciuta, decisamente meno pericolosa e compatibile con le responsabilità che ho nei confronti della mia famiglia e del lavoro.

Ho avuto la fortuna di avere due maestri che mi hanno iniziato al trial (Giugno 2014), Massimo Parodi e Fabio Lenzi, dai quali cerco di apprendere le tecniche ed i trucchi di guida.

Il trial è una disciplina che seguii fin dai tempi di Malcolm Smith, Baldini, Adamoli, vedendo a Campo Smith (Bardonecchia) i trialisti di allora saltare sui tronchi."

 
 

“Mi ricordo perfettamente la Ossa Mar bianca con la striscia verde sul serbatoio, la Bultaco Sherpa e la Montesa Cota.

Ho sempre guardato con grande ammirazione e curiosità le modifiche che venivano fatte per correre alla Scottish Six Days Trials, gara che mi affascina e che mi ha portato ad acquistare diversi titoli che trattano questa gara, tra i quali il Castrol Book of the Scottish Six Days Trial.

Adesso mi piacerebbe arrivare ad un livello tecnico tale da poter essere al via della Scottish nel Maggio del 2016, da solo o con un gruppo di amici, anche se, in questo caso, la difficoltà maggiore è riuscire ad entrare tutti nella lista dei piloti accettati dall'organizzazione.

Sicuramente mi piacerebbe affrontarla insieme a Massimo Parodi.”

 
 

Il trial come l'enduro sta affrontando un periodo difficile per via della difficoltà a praticarlo.
A Genova è stato creato da Sergio Parodi il Pro Park, un'area di 180000 mq dov'è possibile praticare diverse discipline motociclistiche.
L'appassionato però ama anche conoscere nuovi posti e vivere liberamente il fuoristrada in mezzo alla natura. Secondo te cosa si potrebbe fare per praticare il nostro sport senza doverlo fare in aree chiuse?

“Per quanto riguarda la mia esperienza personale il problema è assolutamente marginale perchè utilizzando il buon senso siamo sempre riusciti a praticare l'enduro ed il trial in armonia con tutti.

Quindi il buon senso è la principale ricetta.

L'entroterra genovese è principalmente disabitato e ciò porta ad evitare di essere perseguitati; la moto da trial poi ha un impatto ambientale molto limitato, è meno rumorosa dell'enduro e soprattutto, quando passa, non scava solchi perchè le coperture sono meno artigliate.

Il trial a mio avviso è una disciplina bellissima, non riesco a capire come non sia riuscita ad avere uno sviluppo commerciale e sportivo come mi sarei aspettato."

 
 

"Essendo nato in piena epoca Fantic Motor ed Swm che, hanno entrambe tentato di far diventare il prodotto trial una realtà industriale in larga scala, pensavo diventasse uno sport di massa.

Invece il trial si è ucciso da solo, con uno sviluppo tecnico della moto che l'ha resa meno utilizzabile dall'utente finale, cui si è unita la problematica ambientale che ha vietato di praticare la disciplina in moltissime zone.

Oggi però avendo comunque una moto racing l'apprezzo ugualmente.

Noto che si può utilizzare facilmente anche per un utilizzo turistico.

Il trialista ha però una personalità controversa ed io sono uno di quelli.

L'appassionato vuole una moto racing che ricalchi la moto del campione, ma ne subisce anche i problemi, come ad esempio la capacità limitata del serbatoio.

Nessuno vorrebbe una moto come, ad esempio, un Alp, un Explorer o Randonnè per praticare il trial e quindi accetta di portarsi nello zaino la benzina piuttosto che rovinare l'estetica della moto."

 
 

"Il trial non ha una valenza commerciale notevole per nessuna azienda; dai produttori di moto, accessori abbigliamento ed anche per Blackbird i numeri legati alla produzione trial sono limitatissimi.

Ciò mi stupisce perchè il trial è l'ABC del motociclismo.

Il bambino che inizia a praticare il trial troverà notevoli vantaggi anche se poi passerà ad altre discipline come l'enduro, il cross, lo speedway, il motard, perchè il trial insegna ad avere il pieno controllo del corpo e del mezzo.

Inoltre vedo che nonostante vi sia una estrema limitatezza degli orizzonti commerciali, le aziende che si sono dedicate al trial creando una gamma hanno avuto delle risposte positive con una clientela fissa che si rivolge ovviamente solo a loro.

Per questo non capisco come mai molti appassionati che hanno lavorato per moltissimi anni nel mondo del trial non si sono esclusivamente concentrati su questo sport, perchè se gestito bene commercialmente può dare molte soddisfazioni.”


Terminata questa chiacchierata Alessandro Merlo ci mostra alcuni cimeli quali la maglia di Fabio Lenzi e quella di Diego Bosis utilizzata quando correva con la Beta del Team Promotor.

 
 

Un'ultima occhiata all'area officina con una Puch in fase di restauro precede l'ultimo momento in questo paradiso, quella della nostra firma e dedica sul registro di chi ha visitato il museo; molti i nomi noti dello sport e del giornalismo a due ruote che sono passati di qui.

Mentre torniamo alla macchina Alessandro Merlo ci svela che vorrebbe creare un museo delle trial Fantic.

In quell'istante ci viene in mente “Un vecchio ed un bambino” di Guccini che termina con il bimbo che chiede al vecchio "Mi piaccion le fiabe, raccontane altre!" immaginando Alessandro adulto che racconta al giovane Alessandro le storie dei piloti, senza svelargli che un giorno diventeranno suoi amici.

Ora sappiamo che il paradiso esiste, è a due passi dall'inferno cittadino ed ha un custode senza barba e lunghi capelli bianchi, che veste una felpa azzurra con il cappuccio e jeans.

 
 

Testo Christian Valeri

Foto Christian Valeri museo e gare trial

Foto Alessandro Merlo bambino ed enduro archivio personale Alessandro Merlo

 
 
 

























 
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